Il passato è alle spalle, ma il futuro non c'è. Il detenuto, che chiameremo Ibrahim, lascia il carcere dopo aver scontato una condanna di quelle pesanti, per omicidio
. È un clandestino, ma gli accordi con i paesi d'origine sono spesso e volentieri scarabocchi scritti sulla sabbia. O non esistono nemmeno, come con la Cina di XI. Ibrahim si guarda intorno: dove dirigersi? I più finiranno fatalmente per tornare in quella terra di nessuno che c'è intorno alla Stazione Centrale, a Roma Termini o in altri luoghi di marginalità e disagio, dove vivere acquattati nell'ombra.
I cpr sono visti con sospetto da una parte dell'opinione pubblica che li considera dei lager o, nell'ipotesi più benevola, delle carceri mascherate, perché in effetti il soggiorno è regolato dall'autorità amministrativa e non da una sentenza penale.
Così sfugge l'elemento più importante: i cpr sono l'unico argine per i tanti Ibrahim, i tanti irregolari, i tanti sbandati che hanno rubato, hanno rapinato, hanno commesso violenze sessuali, in qualche caso hanno ucciso, spesso hanno spacciato. Quando la parentesi dietro le sbarre si conclude, questi ragazzi tornano ad una vita randagia, spesso per mancanza di alternative sono di nuovo manovalanza della delinquenza. La prima linea della criminalità.
Oggi, nei cpr ci sono circa 650 persone, con una rotazione annua che sfiora le tremila unità. Tutte persone che dovrebbero avere già prima di passare il portone del carcere un piede sull'aereo verso casa. E invece quasi sempre l'espulsione è solo virtuale e allora l'unico rimedio, sia pure a tempo, è quello di chiuderli in questi spazi. Per un periodo limitato, ma necessario per rendere effettivo il cartellino rosso e per toglierli dalla strada.
Scorrendo per esempio gli ingressi al cpr della Basilicata si scopre un catalogo impressionante di reati. Ad ogni arrivo corrisponde fatalmente un grappolo di illeciti.
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