Walter Veltroni: Lo Spettro della Capillarità

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L'articolo analizza il successo e la pervasiveness di Walter Veltroni nel mondo della cultura italiana, mettendo in luce come la sua presenza sia costante in festival, teatri, musei e televisione. L'autore, pur non negando il talento di Veltroni, si interroga sul motivo per cui la sua figura sia così pervasiva e come questo si traduca in un apparente monopolio culturale da parte della sinistra.

Televisioni, cinema, documentari, festival, teatri, editoria, interviste pettinate con vista Quirinale: non c'è spazio che lui non occupi. Trova sempre le porte aperte, e dunque c'è chi gliele apre. Siamo rosiconi? No: realisti. Vuole fare televisione? Ecco la Rai. Vuole fare film? Ecco i produttori. Vuole scrivere libri? Ecco i grandi editori. Vuole stendere editoriali? Ecco i grandi giornali. Vuole fare uno spettacolo? Ecco le tournée teatrali.

Vuole fare mostre nei musei? Ecco a disposizione i musei. L'ultimo museo è il GAMC di Viareggio. In occasione del famoso carnevale della Versilia, la galleria, che è un luogo bellissimo che custodisce i capolavori di, ha inaugurato una mostra sulla satira, co-curata da Walter Veltroni, aperta fino a maggio. Abbiamo visto l'esposizione. Una mostra epocale? No. Conosciamo decine di critici e curatori (sfigati?) che avrebbero potuto far meglio. Allora perché è stato scelto lui? È il dilemma di sempre quando si vedono i film di Veltroni, i programmi tv di Veltroni, i documentari di Veltroni, i libri di Veltroni, le mostre di Veltroni, gli spettacoli di Veltroni. Capolavori? No. La cultura ha scoperto il nuovo Machiavelli? No. Seguitissimo dal pubblico? I suoi programmi Rai, più pubblicizzati, sono stati un flop di ascolti. Le sue “10 cose”, in prima serata, su Rai1, affondarono. La questione non è un libro modesto o un programma sbagliato: tutti possono sbagliare, noi per primi. Ma perché tutta questa sua facilità nell'ottenere consensi da rassegne, televisioni? Il perché è comprensibile. Antonio Gramsci, nel sangue del carcere, profetizzò la figura tipica del politico, che Walter Veltroni da decenni incarna perfettamente. Studiatelo. Diceva: la cultura, per cambiare la società, deve essere anzitutto gestione del potere. E la gestione del potere è capillarità: funzionari vicini, amici, alleanze, riconoscenze, reciproci appoggi territoriali. L'egemonia, senza capillarità, è il sogno dell'idiota. Questo diceva Gramsci: illusi se pensate di consolidare il potere, senza scolarizzare e infiltrare classi dirigenti nelle catene fondamentali dello Stato. Se volete diventare marcia trionfante, diceva Gramsci, imparate a farvi moneta che gira di mano in mano. Veltroni è questa moneta che gira di mano in mano. Da deputato della sinistra nel 1987, poi da direttore dell'Unità che allegava al quotidiano i grandi film in vhs, poi da ministro dei beni culturali, poi da sindaco di Roma, poi fondatore del Partito Democratico, poi da politico scrittore, regista, commentatore, e un sacco di altre cose, sa che la cultura è il piedistallo più appetibile per un politico. Non ce ne è uno migliore. I treni sono rogne. I bilanci sono rogne. Gli ospedali sono rogne. Michelangelo, Dante, Ladri di biciclette, se trattati bene, sono palcoscenico mondiale. A sinistra lo hanno capito benissimo. Le carriere nazionali di Veltroni, Franceschini e Renzi devono molto più alla cultura che ai voti dei cittadini italiani. Veltroni con la Festa del Cinema di Roma e le star da Oscar, col Leonardo da Vinci perduto dentro Palazzo Vecchio, scoprirono un riconoscimento impensabile se si fossero occupati di agricoltura, sanità e urbanistica. Che scemi quelli che dicono che la cultura è l'ultimo dei pensieri, finite le cose serie. Walter Veltroni e Dario Franceschini sono in odore di Quirinale proprio perché hanno sfruttato benissimo la legittimazione sociale - il palcoscenico - della cultura. È quello che finora manca alla destra. Veltroni raccoglie i frutti di quella ramificazione di rapporti che la sinistra possiede. Lavora nel vuoto di contraltari dall'altra parte, dopo la sfilza di ministri pallidi e incolori dei governi Berlusconi come Sandro Bondi, Giancarlo Galan, Rocco Buttiglione: forse l'unica eccezione fu Giuliano Urbani, nel Berlusconi II, che ratificò il Codice dei Beni Culturali del 2004, ora da cambiare radicalmente, perché il mondo sta cambiando in velocità e noi con esso. Il governo Meloni, dopo essersi incartato nell'affaire Sangiuliano-Boccia, ha tutte le possibilità, le manopole, gli ingranaggi, con il ministro Giuli, con personalità come Marcello Veneziani, Pietrangelo Buttafuoco, Luca Barbareschi, Davide Rondoni e altri, per controbilanciare, anche mediaticamente, uno scenario che da decenni è saldamente in mano alla sinistra. Perché la domanda finale è: Walter Veltroni è libero di fare ciò che vuole nella sua vita. Ma a chi conviene che giornali, tv, teatri, musei e cinema lo esaltino a mani basse, come fosse Padre Pio

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