L'egittologo Zahi Hawass ha annunciato nuove scoperte a Luxor, tra cui un nuovo tempio della regina Hatshepsut. La scoperta ridefinisce la storia di Thutmose III, che restaurò e venerò la matrigna, smentendo le ipotesi di omicidio e distruzione dei monumenti. Hawass riflette sulla ripetizione della storia e sull'importanza di conoscere l'intero passato, non solo quello nazionale ed europeo. Inoltre, ribadisce la sua battaglia per la restituzione di tre reperti egiziani, sottratti illegalmente a musei stranieri.
Zahi Hawass ha colpito ancora. Il più famoso egittologo al mondo ha annunciato di recente nuove grandi scoperte a Luxor , poco lontano dalla Valle dei Re. Ancora una volta le sabbie del Sahara ci rivelano una storia vecchia di millenni che continua ad affascinarci. A patto, però, che la si conosca.
E lui, che è stato ministro delle Antichità e da quasi 30 anni è il volto televisivo dell’antico Egitto, non smette mai di stupirsi di quanto poco si sappia ancora oggi di quel mondo così affascinante. Pieno di misteri, di cunicoli nascosti sotto la sabbia, da attraversare come un moderno Indiana Jones. Con tanto di cappello a larghe falde, divenuto insieme alla camicia di jeans blu il suo tratto distintivo. Dottor Hawass, è emozionato per gli ultimi ritrovamenti? «Sì, lo sono sempre. L’archeologia è per me una grande passione, prima che un lavoro. Questa scoperta, come tutte le altre, non fa che accrescerla. E quando ne parlo sono così felice di poter rivelare i segreti del passato, i suoi misteri, la sua magia». Che cosa ha trovato questa volta? (Ride, ndr) «Quanto tempo ha?». Ci racconti almeno la scoperta più importante. «Senza dubbio il nuovo tempio della regina Hatshepsut. È il primo monumento reale trovato a Luxor dopo l’apertura della tomba di Tutankhamon nel 1922. Abbiamo rinvenuto 1.500 blocchi intatti provenienti dal tempio di valle della regina, quello collocato al limite della zona fertile attorno al Nilo, finora sconosciuto. Sono decorati con magnifiche scene e riportano i nomi di Hatshepsut e del suo figliastro e successore, Thutmose III». Il tempio funebre di Hatshepsut non era già visitabile? «Quello funebre. Questo è quello di valle, è un’altra struttura». Perché è così importante? «Perché dai geroglifici si evince che Thutmose III, una volta salito al trono, restaurò e curò l’edificio, continuando a venerare la regina. E questo ci fa riscrivere i libri di storia. Per decenni abbiamo sentito raccontare che Thutmose, adirato con la matrigna che lo aveva sostituito nella carica di faraone quando era ancora un bambino, l’avrebbe uccisa e ne avrebbe distrutto i monumenti. Ora sappiamo che fece l’esatto opposto: la ricordò a lungo. D’altronde quando identificai la mummia di Hatshepsut nel 2007 la esaminammo con la Tac: era anziana e se la portò via un tumore. Altro che morte violenta!». I suoi monumenti sono stati vandalizzati. Se non è stato Thutmose III, allora chi? «Gli egiziani. A loro non piaceva l’idea di essere governati da una donna. E non bastò il fatto che lei si vestisse da uomo, si proclamasse figlia del dio Amon e si facesse chiamare faraone. Il re governava con il supporto necessario, anche a livello teologico, delle mogli. Ma una moglie, pur vedova, non poteva essere re. Il popolo non perdonò il suo ardire, e ne distrusse la memoria già alla fine del regno di Thutmose III. In 3500 anni il mondo non è cambiato…». La storia si ripete, secondo lei? «Continua a ripetersi, sì. Siamo sempre gli stessi, ciò che studiamo lo testimonia». Il Ministero dell’Istruzione italiano vuole rilanciare lo studio del passato alle scuole medie, ma concentrandosi sulle vicende nostrane ed europee. Che ne pensa? «È sbagliato. Anzi, sbagliatissimo. La storia o si conosce tutta o è inutile affrontarla. È come un testo geroglifico: puoi conoscere benissimo i simboli, ma se non li colleghi non capirai mai cosa c’è scritto». Avete scavato in un’area molto nota e sono saltati fuori reperti nuovi. Quanto c'è ancora da scoprire? «Oh, non ne ha idea! Non puoi immaginare quanti segreti si celino sotto le sabbie dell’Egitto. Guarda me: ho scavato un settore pieno di dune. Le abbiamo rimosse ed è uscito di tutto. Fino ad oggi abbiamo scoperto solo il 30% dei monumenti sopravvissuti ai millenni». Quanto conta la fortuna nel suo lavoro? «Moltissimo, e io sono un archeologo molto fortunato. Nella mia carriera ho fatto grandi scoperte importanti. E ne farò altre, ne sono certo». Tutto quello che lei trova rimane in Egitto, oggi. In passato molto è stato portato all’estero. Lei si batte per la restituzione dei reperti da anni. «Non di tutti. Io chiedo solo che ci vengano ridati tre oggetti, sottratti illegalmente: la Stele di Rosetta dagli inglesi, lo Zodiaco di Dendera dai francesi e il busto di Nefertiti dai tedeschi. Al momento sto curando una raccolta firme online che ha già raccolto 300mila adesioni. Sto aspettando di arrivare al milione. A quel punto renderò miserabile la vita dei tre musei che ospitano gli oggetti rubati». Crede di riuscirci? «In Europa vi state risvegliando. Sempre più persone vorrebbero restituire ciò che in passato è stato razziato, soprattutto in Africa. In questo non siamo soli: anche l’Etiopia e la Grecia combattono la stessa battaglia». Di certo lei è un volto molto noto, una rockstar dell’archeologia. La sua notorietà può aiutare. «Sicuro. E non mi interessano le critiche». Quali critiche? «Sa, quando diventi famoso le persone tendono a prenderti di mir
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