Il Vino Rosso in Crisi: Un'Analisi del Declino del Consumo

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Questo articolo esplora la crisi del vino rosso, analizzando le cause del suo declino. Tra le ragioni principali si citano i cambiamenti climatici, le nuove abitudini di consumo legati all'aperitivo e alla vita sociale, l'aumento dei costi e la crescente preferenza per vini bianchi, rosé e bollicine, soprattutto tra i giovani.

Dagli anni Ottanta il vino non è più un alimento e non si beve quasi più a pranzo e meno a cena: sta diventando qualcosa di edonistico e di intellettuale, afferma Alessandro Torcoli, direttore di *L'Eroico*, una rivista di vino e gastronomia fondata nel 1974. È probabilmente una delle spiegazioni principali alla crisi del settore di cui si parla ciclicamente, mentre aprono sempre più enoteche, proliferano i corsi da sommelier, le degustazioni e le “cantine aperte” durante la vendemmia.

Intanto il consumo di vino, aumentato in pandemia durante il lockdown, cala di anno in anno: dal 2019 al 2023 le vendite al supermercato sono diminuite. Torcoli spiega che la crisi del vino rosso è tra i temi di cui si parla di più nel settore. In Francia è consumato per il 90 per cento in meno rispetto agli anni Settanta e sostituito da vini bianchi, rosé e bollicine, soprattutto tra i più giovani. C’entra molto il riscaldamento globale: per il caldo «si smette di bere vino rosso a maggio e si riprende a settembre», dice Torcoli, in più «stiamo mangiando tutti più leggero e il vino bianco, rosé e bollicine si abbina meglio». Inoltre il cambiamento climatico ha aumentato la gradazione alcolica dei vini e ora un rosso si aggira facilmente sui 13 gradi, rendendolo più impegnativo. Il rosso è sfavorito anche da un nuovo modo di vivere la socialità, in parte dovuto alle difficoltà economiche degli ultimi anni: si va meno al ristorante perché costa troppo e si preferisce fare un aperitivo e poi cenare a casa o andare in una enoteca con cucina e ordinare uno o due calici e qualche piattino. Queste nuove abitudini pesano sulla scelta del vino: «se bevi senza mangiare è meglio un bianco o una bollicina» dice Antonio Crescente, tra i fondatori di Champagne Socialist, uno dei locali di Milano più noti per i degustazioni di Champagne, e ora di Palinurobar, un’enoteca con “piccola cucina”, e dell’osteria Lagrandissima, sempre a Milano. Crescente spiega che se prima il bianco era noto come un vino di “facile beva” (meno complesso e preferito dal bevitore occasionale), ora è stato riscoperto come prodotto di qualità e di lusso. «Nell’ultimo anno – aggiunge – sto riscontrando un aumento del rosso tra i bevitori molto informati, che sono il 5 per cento del totale ma che sono quelli che poi influenzano il mercato»., una newsletter dedicata al mondo del cibo. Secondo lui la gente che beve abitualmente si sta riducendo «a una fascia molto specializzata»: un po’ per ragioni culturali, un po’ legate all’età – «c’è chi vuole avere o ha un figlio» – e anche economiche, perché c’è necessità di risparmiare e il vino è sempre più caro: dopo la pandemia, dice, i costi sono aumentati del 15-20 per cento. La sua clientela ha tra i 30 e i 45 anni mentre «i 25enni sono pochi ma molto informati, c’è una sorta di nerdismo». Anche Torcoli nota che «paradossalmente c’è più interesse tra i 20enni di oggi che tra quelli degli anni ’80 e ’90, quando il vino era visto come la bevanda dei nonni», e ricorda che il vino «non è mai stato una bevanda per chi ha meno di 25 anni, per limiti economici e culturali»: i più giovani «cercano soprattutto lo sballo offerto dall’alcol», che si raggiunge più rapidamente con superalcolici più economici. I timori sull’allontanamento dei giovani dall’alcol infatti preoccupano anche il settore del vino, ma riguardano in realtà soprattutto le birre e i superalcolici, e principalmente negli Stati Uniti – dove a fine anni Dieci nacque il movimento “Dry January”, che riduceva o rifiutava l’alcol per migliorare la salute fisica e mentale – o il Nord Europa, dove il modo di bere è tradizionalmente diverso che in Italia, più legato alla quantità che alla degustazione. Studi recenti mostrano che le persone che bevono sono sempre più, anche se lo fanno in minore quantità: nel 2023 era il 55 per cento con più di 11 anni, contro il 53 per cento del 2010; di questi il 29 per cento beveva tutti i giorni e il 71 per cento sporadicamente; inoltre dal 2002 al 2022 la percentuale di 18-34enni che bevono è in aumento. Questo non vuole dire che il settore non stia attraversando delle difficoltà: l’aumento dei costi delle materie prime e la conseguente riduzione dei consumi; la L’impressionante crollo del consumo di vino degli ultimi 70 anni – 125 litri in media a testa negli anni Sessanta contro i 55,8 del 2010 – è dovuto al modo completamente diverso di berlo oggi: quello che si beve meno infatti è il vino da tavola, leggero, economico e consumato ogni giorno durante i pasti, mentre oggi si beve vino di alta qualità in occasioni saltuarie

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