Il presidente della federazione sindacale dei medici Cimo-Fesmed, Guido Quici, critica duramente il decreto anti liste d'attesa, definendolo un provvedimento vuoto e privo di effetti tangibili. Secondo Quici, il decreto non prevede alcun investimento reale per potenziare l'offerta sanitaria e ridurre le lunghissime liste d'attesa che affliggono il servizio sanitario italiano. Quici sottolinea come la riforma sia bloccata e che i fondi per potenziare il Servizio Sanitario siano insufficienti e non disponibili nel breve periodo. Si evidenzia inoltre come la frammentazione territoriale e il continuo rimpallo tra Stato e Regioni ostacolano l'applicazione uniforme delle norme.
In questi primi sei mesi dalla sua approvazione, il decreto legge anti liste d'attesa non ha portato nessun beneficio ai cittadini. Secondo Guido Quici , presidente della federazione sindacale dei medici Cimo-Fesmed , il provvedimento lanciato dal Governo Meloni durante la campagna elettorale delle europee è una norma vuota, priva di effetti tangibili. «Non c'è nessuna volontà reale di ridurre le lunghissime liste d'attesa a cui sono costrette le persone», commenta a ilfattoquotidiano.it.
Basta guardare la finanziaria di quest'anno per capirlo. La legge di bilancio è fatta di mance e di cambiali. I veri soldi si vedranno solo dal 2026 in poi. Ma l'urgenza delle liste d'attesa è adesso e i fondi non ci sono». Anche per la federazione sindacale dei medici, infatti, la riforma è in stallo: «È stato approvato solo uno dei sei decreti attuativi necessari, questo è fuori discussione. Non c'è nessun colore politico dietro l'analisi di dati oggettivi come questo», commenta Quici. «Sappiamo che in Italia ci possono volere anni per approvare i decreti attuativi – prosegue -. Ma il Servizio sanitario non ha tempo, e non lo hanno i cittadini». Quici denuncia inoltre i danni causati dalla frammentazione territoriale e dai continui rimpalli tra Stato e Regioni: «Abbiamo venti Italie diverse, questo, rendendo difficile l'applicazione uniforme delle norme». Ma i problemi del provvedimento non si esauriscono con le lungaggini burocratiche. Secondo il presidente di Cimo-Fesmed, anche se tutti i decreti attuativi fossero approvati domani, non cambierebbe molto. «La riforma va a rivedere un assetto organizzativo che presuppone il rilancio dell'offerta sanitaria. Ma non si capisce chi dovrebbe offrire questi servizi. Se non ripristiniamo una parte dei posti letto eliminati, se non riapriamo gli ambulatori, se non assumiamo nuovo personale,?». Per i sindacati, la carenza di personale è il vero nodo da sciogliere. Anche in funzione della sanità territoriale, ritenuta fondamentale per ridurre il peso sugli ospedali: senza rafforzare gli organici, le nuove strutture finanziate dai fondi del Pnrr rischiano di rimanere inutilizzate. La normativa vigente da oltre vent'anni, continua a generare storture – denuncia Quici -. Dopo il Covid, sono aumentati significativamente i contratti a tempo determinato e abbiamo continuato a spendere soldi pubblici per pagare i costosi gettonisti». E Quici riversa critiche anche sull'unica misura messa effettivamente in campo finora, ovvero la detassazione delle prestazioni aggiuntive dei medici: «Per avere manodopera a disposizione si è pensato di dare poche decine di euro in più ai medici che lavorano oltre il loro orario. Un approccio inadeguato per risolvere il problema. In primis perché c'è un tetto di 48 ore a settimana oltre il quale non si può andare. E che è bene rispettare anche per non sfiancare il professionista ed evitare che commetta errori per la stanchezza. In secondo luogo perché questi soldi potevano essere usati per assumere un medico e andare a impattare realmente sul problema liste d'attesa. Così, si tira a campare. E, oltretutto, rinviare di pochi mesi il problema ha un costo molto alto», conclude Quici.
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