Il critico d’arte, ex Forza Italia in lizza per il centrodestra con «Rinascimento»: pronto a fare le primarie, ma con Calenda potrei allearmi e fare l’assessore alla Cultura
di Michelangelo sopra al Colosseo. Al centro, il nome della lista che invece è sempre lo stesso: «Rinascimento», perché «abbiamo fatto bene già in molte parti d’Italia, non si cambia». Al centro il suo: «Sgarbi».Mercoledì l’annuncio ufficiale in piazza della Maddalena, cuore di Roma. E, per ora, è il primo a scendere ufficialmente in campo nella corsa al Campidoglio. Per il centrodestra. Forse.
, il Campidoglio sarebbe per Vittorio Sgarbi «una destinazione naturale»: «La città d’arte più importante del mondo — sorride — con il critico d’arte più importante d’Italia». E poi, aggiunge: «In fondo, lo storico dell’arte e poi sindaco di Roma Giulio Carlo Argan aveva un profilo molto simile al mio, e dopo i nomi che ho sentito, da Massimo Giletti a David Sassoli, forse io ho più titoli».
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E’ bello studiare Leopardi aspettando la prossima corsa del taxiIn piazza Castello sono passate da poco le 21 di uno stanco giorno, ma il Caffè Mulassano è un porto sicuro. «Vedi, con questo lavoro hai delle possibilità fra le tue mani: al parcheggio, mentre aspetti, tu sei solo insieme al tuo tempo», mi fa un collega tornando alle auto dopo il caffè. La piazza è bella, così sospesa in un vuoto spazio temporale di estate finita e autunno non ancora cominciato: movida sì, ma senza troppa convinzione. Facciamo due passi senza allontanarci troppo. «Sta a te scegliere - riprende facendo tre con le dita - tu puoi sprecarlo, puoi fare finta di usarlo bene, oppure puoi usarlo davvero bene». «Il tempo è il bene più prezioso», accenno io. Guardiamo il retro di Palazzo Madama, le sue superfetazioni, i suoi colori diversi che ne tradiscono le età. «Questo è il mio parcheggio preferito», dico io, alzando gli occhi al cielo, «perché attorno c'è solo bellezza». «Sai, ultimamente sto studiando Leopardi», butta lì lui, come fosse una confessione. Ed è bello, a quel punto, recitare assieme L’infinito; io arrugginita, lui sul pezzo. «Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando...» Squilla il telefono, chiude il teatro improvvisato: lui prende la corsa, e se ne va.
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