Un ricercatore si batte per portare un gatto in stazione McMurdo, in Antartide, per migliorare il morale e studiare l'effetto della compagnia animale in ambienti estremi. Ma affrontare questa sfida significa superare ostacoli scientifici, legali e felini.
Un gatto che si aggira tra le fredde strutture metalliche della stazione McMurdo, in Antartide , con la sua pelliccia soffice e i suoi occhi scintillanti che riscaldano i cuori di scienziati e tecnici. È il sogno – e la missione – di Stuart Behling, un ricercatore che sta lottando per portare un amico felino tra i ghiacci. In una terra dove le temperature scendono sotto i 45 gradi e il sole scompare per mesi, la compagnia di un animale potrebbe fare la differenza.
Ma trasformare questa idea in realtà significa affrontare una serie di ostacoli scientifici, legali e… felini. L’Antartide non è certo nota per il calore umano (o animale). Durante i mesi invernali, la popolazione della stazione McMurdo, la più grande base statunitense sul continente, si riduce a poche centinaia di persone. È un luogo estremo, dove la routine quotidiana può essere travolgente e la solitudine opprimente. “Mi manca la mia gatta Luna”, racconta Behling, ricordando l’amica a quattro zampe che ha perso di recente. “Pensavo a quanto avrebbe reso tutto più sopportabile avere un gatto qui, con noi”. Così, durante una fiera scientifica interna, Behling ha presentato una proposta che ha acceso l’immaginazione della comunità: adottare un gatto per la stazione McMurdo, per migliorare il morale e studiare i suoi effetti sul benessere psicologico dei residenti. L’idea non è solo una questione di coccole. Behling sostiene che l’esperimento potrebbe fornire dati utili per comprendere come un animale domestico influisce sulla salute mentale in condizioni estreme, come l’isolamento prolungato o le missioni spaziali. 'Con un’attenta pianificazione e misure di sicurezza, un gatto potrebbe diventare parte della comunità senza impatti negativi sull’ambiente”, documenta il ricercatore. Il progetto prevede di tenere l’animale rigorosamente al chiuso, con una stanza speciale progettata per impedire qualsiasi fuga o contaminazione. E c’è già un precedente storico dalla sua parte: durante l’epoca eroica delle esplorazioni antartiche, gatti e cani erano spesso membri delle spedizioni. L’esploratore Ernest Shackleton, per esempio, aveva a bordo della sua nave un gatto di nome Mrs. Chippy, amatissimo dall’equipaggio. Tuttavia, i tempi sono cambiati. Gli animali non nativi non vivono in Antartide da più di 30 anni. Negli Anni 80 i cani da slitta furono sostituiti dalle motoslitte, ma diverse stazioni antartiche, comprese le basi britanniche e argentine, mantennero piccole popolazioni, principalmente per ragioni di morale e compagnia. Tuttavia, rappresentavano una seria minaccia per la popolazione nativa di foche. Da allora, la rigorosa tutela ambientale del Trattato sull'Antartide ha limitato l'arrivo di nuovi animali domestici. Ai visitatori, siano essi turisti o lavoratori, è vietato avvicinarsi o toccare animali autoctoni, e nemmeno camminare su aree ricoperte di licheni o muschi. E come nel caso dei cani da slitta, un gatto domestico potrebbe presentare il rischio di trasmettere malattie alla fauna locale: toxoplasmosi, pulci o parassiti. Phil Jacobsen, veterano della vita antartica e fondatore dell’Antarctic Cat Club, concorda sull’importanza delle regole. “L’ambiente qui è incredibilmente fragile. Anche una minima distrazione potrebbe avere conseguenze devastanti”. Ma Behling non si arrende. Tra le pieghe del regolamento del Trattato, ha trovato una possibile scappatoia: è consentita l’introduzione di specie non autoctone se utilizzate per scopi scientifici. Potrebbe bastare un buon progetto di ricerca per trasformare il sogno in realtà. Se il progetto dovesse andare in porto, ci sarebbe un altro grande quesito da risolvere: come chiamare il nuovo arrivato? Tra le proposte emerse durante le discussioni spiccano nomi come Mr. Chippy in onore del famoso gatto di Shackleton, o The Coolest, un tributo alla sua futura fama come il gatto più freddo del pianeta. “Qualunque sia il nome, sarebbe il gatto più coccolato e amato del mondo”, scherza Jacobsen. L’idea di un gatto in Antartide potrebbe sembrare stravagante, ma solleva questioni profonde: fino a che punto possiamo spingerci per migliorare la qualità della vita in ambienti estremi senza mettere a rischio l’ecosistema? Behling crede che trovare il giusto equilibrio sia possibile. Con una combinazione di scienza, passione e, ovviamente, tanto amore per i gatti, il sogno di un miao tra i ghiacci potrebbe presto trasformarsi in realtà. E chissà, forse un giorno il suo piccolo compagno felino ispirerà non solo scienziati e tecnici, ma anche esploratori di nuovi mondi
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