Il centro sociale occupato più famoso d'Italia, il Leoncavallo Spa, si prepara a rispondere alla richiesta di risarcimento presentata dal Ministero dell'Interno. Dopo la sentenza della Corte d'Appello di Milano, che ha condannato il Viminale al pagamento di 3 milioni di euro, si teme che il conto venga girato all'Associazione mamme antifasciste del Leoncavallo. La vicenda, iniziata nel 1975, è una storia di occupazioni, sfratti rinviati e lotte sociali.
Il Leoncavallo Spa - Spazio Pubblico Autogestito è il centro sociale occupato più famoso d'Italia. Quest'anno compie 50 anni e, nonostante la sua età, rimane al centro dell'attenzione. A novembre, la Corte d'Appello di Milano ha condannato il Ministero dell'Interno al pagamento di 3 milioni di euro alla proprietà dell'immobile per non averlo sgomberato. Recentemente, si è saputo che il Viminale, in caso di pagamento, si rivolgerà all'Associazione mamme antifasciste del Leoncavallo .
Questo è il senso della raccomandata inviata il 9 dicembre dall'Avvocatura dello Stato all'Associazione e alla presidente Marina Boer, avvisando che se il Ministero dovrà risarcire la società L'Orologio srl della famiglia Cabassi, girerà poi il conto all'Associazione. Il perché è stato spiegato dagli avvocati dello Stato Maria Gabriella Vanadia e Riccardo Montagnoli: 'il Ministero dell'Interno intende rivalersi nei confronti dell'Associazione stessa e delle persone che hanno agito in nome e per conto di essa delle somme che dovesse essere costretto a corrispondere alla srl L'Orologio'. Per l'avvocato del Leonka, Mirko Mazzali, si tratta 'solo di una manleva'. Una messa in mora per il futuro: 'Prima lo Stato deve pagare, poi eventualmente si rivarrà sul Leoncavallo'. Anche se, ha ammesso, la presidente dell'Associazione è 'discretamente' preoccupata. Per Elisa, una delle militanti storiche, 'era una cosa abbastanza scontata. Vediamo come procedono le cose. Si spera che la politica risolva, sennò per noi è un disastro'. Quello di oggi è solo l'ultimo passo di un'intricata vicenda iniziata nel 1975, quando un'area dismessa in via Leoncavallo 22 fu occupata. Nel 1994 un primo trasloco, poi l'approdo nell'ex cartiera in via Watteau, oggi al centro della querelle. Una 'patata bollente' che ogni sindaco di Milano ha dovuto maneggiare. In 19 anni ci sono stati 130 i rinvii di sfratto. L'ultimo il 10 dicembre scorso, rinviato al prossimo 24 gennaio. Il fatto è che il Leonka in 50 anni ha cambiato pelle. Oggi è uno spazio 'aperto e inclusivo delle pratiche di autogestione e governo'. Solo questo fine settimana ha in programma oltre all'assemblea pubblica in vista della giornata antisfratto del 24 gennaio, incontri, concerti e dj set. Una realtà che nessuno vuol prendersi la responsabilità di chiudere. 'Se il prefetto ci chiamasse al tavolo per ricominciare a discutere certamente ci saremo', aveva detto a novembre il sindaco Giuseppe Sala. Non ha citato il 'Leonka' ma è sembrato alludere alla vicenda un articolo della 'Associazione per resistere', campagna di solidarietà agli attivisti di Askatasuna e del movimento No Tav della Valle di Susa. L'argomento era la richiesta di risarcimento per 6,8 milioni di euro presentata dallo Stato al processo di Torino al centro sociale Askatasuna. 'Risarcimenti come questi', si legge, mirano a 'intimorire e spaventare tutto un movimento e fare da monito per chi pensa di organizzarsi e lottare'
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