«Il passaporto? Non basta»: l'incubo dei documenti per andare (o tornare) a Londra dopo...
e invischiarsi in procedure kafkiane. Ieri mi è capitato di tornare nella capitale britannica dopo un lungo soggiorno in Europa. E già all’imbarco del volo c’è la prima sorpresa:mi chiedono pure un secondo documento. Meno male che ho con me anche la carta d’identità: ma da quando in qua il passaporto non è più sufficiente?
«È la Brexit…», spiega serafico l’addetto di Easyjet. Ma è all’arrivo all’aeroporto di Luton che le cose si complicano davvero. L’addetto ai controlli non sembra affatto contento di vedere il passaporto italiano: «Hai il diritto di stare qui?», mi chiede seccamente. «Puoi provarlo?». Il problema è che adesso, a meno che non si venga per semplice turismo, per sbarcare a Londra.
che lo certifichi, è tutto registrato soltanto online. «C’è il database…», provo a obiettare. Ma l’occhiuto controllore non si smuove: «Hai almeno con te una email?», chiede.mi sono stampato la email dell’Home Office di due anni fa che registrava l’accettazione del mio «pre-settled status» : ma il bello è che in essa si specifica che quella non rappresenta affatto una prova, bisognerebbe accedere ogni volta al database. Però il funzionario dell’aeroporto la vuole vedere lo stesso e sembra accontentarsi: anzi, la ripiega con cura nel passaporto e mi ammonisce a non viaggiare mai senza.
Le associazioni che rappresentano gli europei hanno protestato, scritto petizioni al governo: ma finora è stato tutto inutile. Soprattutto, però, dopo la Brexit si ha la sensazione di essere deglicontinuamente sottoposti a verifica, sempre in bilico sul crinale dell’illegalità. E potrebbero essere molte migliaia quegli europei che non hanno fatto in tempo domanda per il e che adesso si trovano in un limbo legale, tecnicamente privi di ogni diritto.
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