La vita tumultuosa di Gianfranco Zigoni: talento e irriverenza

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La vita tumultuosa di Gianfranco Zigoni: talento e irriverenza
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Un ritratto di Gianfranco Zigoni, un calciatore italiano di grande talento ma anche di carattere ribelle e irriverente. La sua carriera fu segnata da contrasti e difficoltà nel conformarsi alle regole del mondo calcistico.

Gianfranco Zigoni era un'anomalia, una scheggia impazzita, un irregolare che remava controcorrente nell'ambiente più conformista che ci fosse: quello del calcio. La normalità non faceva per lui, e chiunque volesse richiudercelo finiva per essere respinto (spesso con perdite).

Poteva un simile personaggio diventare un campione con C maiuscola? Poteva farsi largo, in un universo di Signorsì, uno che non la pensava mai come la maggioranza e le sue manifestazioni di critica erano spesso carnevalate che infastidivano i benpensanti? La risposta è semplice: no. Il carattere di Zigoni non sarebbe mai stato all'altezza del suo talento. Una volta, dopo una partita al Santiago Bernabeu, il difensore del Real Madrid Santamaria, che aveva cercato di braccarlo come fa il cacciatore con la lepre, sputò una sentenza con annessa bestemmia: 'Questo è come Pelè!'. 'Questo' era Zigoni. Che, tuttavia, non diventò mai come Pelé. Le qualità, perlomeno a detta di Santamaria che di attaccanti ne aveva affrontati parecchi, non gli mancavano, e allora le ragioni di questa carriera spezzata, di quest'anomalia, vanno ricercate altrove. Forse nella testa e nello spirito ribelle di questo ragazzo che conosceva una sola regola: l'irriverenza. Nato nel 1944 a Oderzo, un paesino in provincia di Treviso, in una famiglia povera, il giovane Zigoni incontrò, come tutti, il pallone all'oratorio. Lui, che veniva dal Bronx di Oderzo, cioè dal quartiere più popolare, cominciò subito ad allenare il suo innato desiderio di stupire. Giocava da solo contro dieci avversari e, stando a quello che raccontò in seguito, vinceva sempre lui: li dribblava tutti e faceva gol. Effettivamente aveva doti al di sopra della media, e infatti venne tesserato prima con il Patronato Turroni e poi con le giovanili del Pordenone, società che era nell'orbita della Juventus. Il provino lo fece sotto gli occhi di Viri Rosetta. E lo superò. Il salto a Torino fu inevitabile: a Zigoni accadde quando aveva sedici anni, e fu un dramma. Per la prima volta in vita sua mise piede in una grande città: non aveva mai visto da vicino un tram. A dir la verità, non sapeva nemmeno che esistessero. Logico lo spaesamento. Gli mancavano la famiglia, gli amici, i giochi dell'infanzia. Tutto. E, nonostante queste mancanze che per un adolescente possono risultare terribili, aveva il dovere di comportarsi da professionista, di essere sempre all'altezza di ciò che gli veniva richiesto dai dirigenti e dall'allenatore. Zigoni tenne botta, perché aveva la testa dura: esordì in Serie A, poi andò in prestito al Genoa e quindi rientrò alla Juventus e qui incontrò Heriberto Herrera. Stagione 1966-67. Il carattere ruvido e dittatoriale dell'allenatore paraguaiano entrò subito in collisione con lo spirito ribelle di Zigoni. E ne successero di tutti i colori. Herrera si rivolgeva così al suo ragazzo di talento: 'Tua madre è una santa, ma tu sei un hijo de puta!'. Una volta gli rifilò un pugno nello stomaco perché non aveva seguito il suo avversario e gli aveva permesso di fare un cross. Zigoni sopportava, mandava giù, ma la vita alla Juve non gli piaceva, nonostante lo scudetto conquistato nel 1967. Troppe regole. Gli pareva di essere in un lager: le telefonate alle dieci di sera per controllare se era in casa, i capelli tagliati corti, la testa bassa ogni volta che parlava l'allenatore. No, quello non era il suo mondo. Lui aveva bisogno di libertà, sognava i campi attorno a casa, a Oderzo, inseguiva il divertimento. Zigoni non era fatto per stare alla Juve: fumava quaranta sigarette al giorno, beveva whisky dopo i pasti, adorava Che Guevara, amava le donne e faceva l'alba ogni volta che ne aveva la possibilità. I ritiri erano una tortura che dribblava scappando dalle porte di servizio. Agli allenamenti si presentava regolarmente in ritardo. Quando c'erano da inanellare i soliti giri di campo, lui era sempre l'ultimo del gruppo. Sgobbare non era il suo verbo preferito. Ergo: meglio andarsene da Torino. Nel 1970 lo acquistò la Roma e qui incontrò un altro Herrera: Helenio, detto il Mago. Anche in questo caso il rapporto fu tumultuoso. Inizialmente si parse la voce che Zigoni era diventato l’amante della donna di Herrera. Una bufala. Ma, se con la maglia giallorossa non ottenne grandi risultati (tranne la vittoria nel Torneo Anglo-Italiano), nella capitale Zigoni conobbe la felicità. Rapito dalla vita notturna, dai locali, dalle donne che lo inseguivano e facevano a gara per conquistarlo. In quel periodo si parlò anche di un flirt (mai smentito) con l'attrice Laura Antonelli. Normale che, se le migliori energie le spendeva fuori dal campo, il rendimento da calciatore non potesse essere granché. Peccato, perché il talento era cristallino. Se soltanto fosse stato assistito dal carattere... Già, ma quello era impossibile imbrigliarlo. A Roma girava con una pistola, una Colt 45, e si divertiva, durante i lunghi ritiri a Grottaferrata, a sparare alle luci dei lampion

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