Mark Jackson, un nome che evoca sia ricordi di brillanti prestazioni NBA sia di momenti controversi. Un'icona di New York, il suo percorso non si è limitato al campo da basket. Esploriamo la sua carriera, le sue controversie e il suo profondo legame con la fede.
Controverso è la prima parola che viene alla mente quando si parla di Mark Jackson . Un nome comune, un cognome che secondo una recente classifica è il 19° più frequente negli Stati Uniti, con 708.099 persone così registrate all'anagrafe. Il nostro Mark Jackson ha però saputo distinguersi in molti campi: giocatore, allenatore, telecronista, pastore. Una carriera NBA però spesso macchiata da episodi - appunto - controversi. Dalla spogliarellista ai fratelli Menendez. Ma andiamo con ordine.
Mark Jackson nasce a Brooklyn il 1° aprile 1965 e cresce nella zona del Queens chiamata St. Albans. Frequenta la Bishop Loughlin Memorial High School dove diventa uno dei migliori play d'America, doti affinate sui playground della Grande Mela. E' newyorchese dentro, incarna il vero spirito della città. 'Lì il basket è fatto di grinta, fatica, competitività, stile, fiducia, lotta, il saper abbracciare le luci brillanti del palcoscenico'. Parole sue dette durante il documentario 'New York City Point Gods'. Ancor più esplicativa la spiegazione di un altro prodotto di NY, Stephon Marbury: 'Un play newyorchese molla la ragazza e la sua catena d'oro prima di mollare la palla'. 'E' una città che ti costringe a maturare in fretta - ha aggiunto Jackson - Ti mette nelle condizioni di conquistare il mondo'. Mark per andare a scuola doveva sobbarcarsi 90 minuti di bus tutti i giorni. 'Mamma e papà sapevano sempre dov'ero - ha ricordato lui - Perché se non ero a scuola, ero al playground'. Al college non poteva che andare a St. John's. Si mise discretamente in luce, pur senza spaccare il mondo in due, ma quanto bastò per guadagnarsi la chiamata numero 18 del draft 1987 da parte dei... sì, avete indovinato, Knicks. La carriera pro' rischiò però di finire prima ancora di incominciare. A quei tempi Mark frequentava tale James 'Bimmy' Antney, poi diventato uno dei pionieri dell'hip-hop, ma all'epoca legato al cartello della droga Supreme Team. Col suo primo stipendio Jackson si comprò una Bmw nera. 'Un giorno sto girando per il Queens e vedo Bimmy, così gli do un passaggio - ha raccontato l'ex play -. Ci ferma la polizia. Mi giro e vedo Bimmy che s'infila qualcosa nei pantaloni. Gli chiedo cosa stia facendo. 'Nascondendo la droga' mi dice. Se ci avessero beccato, sarebbe stata la fine per me. Fortunatamente i poliziotti mi riconobbero e ci lasciarono andare. All'angolo lo feci scendere e gli dissi che non sarebbe mai più salito sulla mia auto'. Chiuse il suo anno da rookie con 13.6 punti e 10.6 assist di media, venendo eletto matricola dell'anno. I primi sospetti sul Jackson uomo (le doti cestistiche non sono mai state messe in discussione), nascono dando un'occhiata a quante squadre ha cambiato in carriera: dai Knicks nel 1992 passò ai Clippers, due anni dopo ai Pacers, nel '96 a Denver, poi di nuovo Pacers (1997), Raptors (2000), Knicks (2001), Jazz (2002) per chiudere infine con Houston nel 2004. Hmmm... Compagno di squadra ideale? Vincente? Perfetto uomo spogliatoio? Sempre colpa degli altri? Qualcosa non è mai quadrato. E le voci iniziavano a uscire. Una delle più clamorose risale ai tempi di Utah. Jackson avrebbe seminato zizzania tra i panchinari, aizzandoli, dicendo loro che meritavano un minutaggio maggiore rispetto a certi titolari. Ovviamente incluse sé stesso nel gruppo, sostenendo di essere più forte di John Stockton o quantomeno più adatto al sistema di gioco di coach Jerry Sloan. Tra i 'ribelli' c'erano anche John Amaechi (poi visto alla Virtus Bologna) e DeShawn Stevenson. Per 15 anni Stockton e Malone avevano gestito lo spogliatoio senza problemi. Tutto cambiò con l'arrivo di Mark. Molti sostengono che l'atmosfera che si era creata contribuì alla decisione del play da Gonzaga di ritirarsi dopo l'eliminazione dai playoff 2003. Il basket nel sangue, difficile intraprendere un'altra strada. Ma la palla a spicchi non è mai stata 'the only thing' nella vita di Jackson. La fede ha sempre giocato un ruolo fondamentale. Cresciuto cattolico nella sua parrocchia nel Queens, inizialmente non si trovava a suo agio con gli evangelici. 'Un giorno, in trasferta con St. John's, sbagliai a schiacciare il tasto dell'ascensore e finii nella sala conferenze, dove si stava tenendo una cerimonia religiosa - ha detto Jackson -. C'era gente che cantava, saltava, ringraziava Dio. Rimasi pietrificato e me ne andai in fretta e furia'. La chiamata per Mark arrivò quando s'innamorò di Desiree Coleman, cantante R&B. Seduti nella sua Jeep Cherokee del 1987, al primo appuntamento, gli spiegò quale sarebbe stato il cammino che avrebbe dovuto intraprendere se voleva stare con lei. Tre anni dopo si sposarono. E qualche tempo più tardi venne invitato a predicare nella chiesa di sua cugina a Brooklyn. Nel 1997 venne ordinato pastore e iniziò a guidare le cerimonie religiose nella sala cinema della sua villa in Southern California, prima che sua moglie decidesse di affittare la chiesa degli Avventisti del Settimo Giorni di Van Nuys. Ma torniamo al baske
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