Perché Muoiono Più Persone in Inverno?

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Un'analisi approfondita sul fenomeno della mortalità invernale, esplorando le possibili cause e le diverse ipotesi scientifiche.

È così in molti paesi nel mondo, anche in quelli dove le temperature sono miti: e infatti non è detto che il freddo sia il fattore diretto più importante di analisi statistiche. «Ho l’impressione che ci siano notevolmente più morti di celebrità, più necrologi e più morti di familiari e amici a novembre, dicembre e gennaio che negli altri mesi», dice la lettrice.

Van Dam le risponde che gennaio è in effetti il mese in cui muoiono più persone negli Stati Uniti: circa il 20 per cento in più rispetto ad agosto, il mese in cui ne muoiono di meno. Studi statistici confermano una tendenza piuttosto omogenea nel mondo, diffusa in entrambi gli emisferi: l’inverno è la stagione con più morti. In Australia, dove l’inverno dura da giugno ad agosto, i livelli di mortalità in quei mesi sono del 20-30 per cento rispetto all’estate. In Inghilterra e in Galles, nell’inverno tra dicembre 2021 e marzo 2022, c’è la stessa tendenza: sia nel 2023, che nella media tra il 2015 e il 2019, i quattro mesi con il numero di decessi più alto sono stati i primi tre dell’anno e l’ultimo. Un’eccezione rispetto a questa tendenza fu il 2020, in cui i mesi con più morti furono marzo, mese del primo lockdown, e novembre. Non è sempre stato così. Per un lungo periodo della storia europea, in particolare durante l’epidemia di peste nera del Trecento, la stagione con con più morti fu l’estate. Le cose cambiarono più o meno stabilmente dal Settecento in poi, secondo una ricerca di Neil Cummins, professore di storia economica alla London School of Economics. Il rapporto passò a 89 morti in estate per ogni 100 morti in inverno, per poi ridursi ulteriormente nel Novecento a 81 ogni 100. Il fatto che muoiano più persone in inverno è un fenomeno noto e discusso da decenni, le cui cause non sono ancora del tutto comprese. Vale peraltro anche in molti luoghi del mondo in cui l’inverno è un periodo relativamente mite, e questo lascia supporre che il freddo sia probabilmente solo una parte della spiegazione. Non c’è infatti una chiara correlazione tra le temperature e la mortalità: secondo i dati raccolti da Eurostat i picchi di mortalità invernale in paesi freddi come Islanda e Russia sono piuttosto bassi in confronto a quelli di paesi del sud dell’Europa come Portogallo e Spagna. Il freddo è comunque un fattore rilevante per le infezioni virali, che sono la causa di una percentuale consistente – sebbene variabile di anno in anno – del totale dei decessi invernali. Il virus dell’influenza, per esempio, mostra un chiaro andamento stagionale. Le cause della stagionalità dei virus sono però da tempo oggetto di dibattito. Un’altra parte della spiegazione della mortalità invernale ha probabilmente a che fare con gli effetti del freddo sulle malattie cardiovascolari: ipotesi che aiuta anche a spiegare perché in molti paesi il fenomeno della mortalità invernale è più evidente in persone con una storia di patologie cardiovascolari. Le relazioni tra le temperature basse nell’ambiente e il funzionamento del corpo umano furono studiate negli anni Settanta e Ottanta dal fisiologo inglesee Keatinge. Durante esperimenti con partecipanti avvolti nelle coperte e altri, senza coperte, esposti all’aria di un ventilatore, Keatinge notò che dopo sei ore i vasi sanguigni sulla superficie della pelle delle persone esposte al ventilatore si erano contratti per non disperdere calore, e che la loro pressione sanguigna era più alta di quella delle persone avvolte nelle coperte. Questo suggerisce che quando le temperature scendono, i vasi sanguigni si contraggono e il cuore lavora di più, i battiti cardiaci e la pressione aumentano, e per effetto di questi cambiamenti aumenta anche la probabilità di coaguli. Negli anni Novanta Keatinge e gli altri suoi colleghi cercarono di verificare se ci fosse una corrispondenza tra gli effetti fisiologici che avevano studiato in laboratorio e le diverse temperature invernali nel mondo. In uno studio europeo scoprirono che in Europa non c’era una differenza significativa nella mortalità invernale tra le aree più fredde da loro prese in considerazione (tra cui regioni della Finlandia e della Germania) e le aree più calde (Palermo e Atene). I risultati non contraddicevano però necessariamente quanto scoperto in precedenza da Keatinge, e cioè che le temperature basse comportino un aumento dei rischi per le persone con patologie cardiovascolari. Lui e gli altri autori e autrici dello studio ipotizzarono che l’assenza di una differenza tra regioni fredde e regioni calde riguardo alla mortalità invernale potesse dipendere dal fatto che chi abita in regioni fredde è più attrezzato e abituato a quelle temperature. Il fatto che nelle regioni fredde non muoiano più persone, in altre parole, potrebbe dipendere da sistemi di riscaldamento più efficienti, case con un migliore isolamento termico e indumenti da esterno più appropriati. Negli ultimi anni diversi studiosi hanno messo in discussione l’ipotesi che le temperature basse spieghino i picchi di mortalità invernale, e in generale che ci sia una sola spiegazione valida per tutti i luoghi del mondo

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