Ritorno alla vita: ostaggi liberati dall'assedio di Hamas, ma le tensioni politiche persistono

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L'accordo di cessate il fuoco segna il ritorno alla libertà di alcuni ostaggi, ma le divisioni politiche interne all'Israele rimangono profonde. Mentre i familiari celebrano la liberazione, alcuni si rivolgono con dure parole agli estremisti che si oppongono alla tregua, chiedendo conto delle proprie azioni. Il processo di liberazione è ancora in corso, ma le ombre del conflitto continuano a minacciare la fragile pace.

Nelle sale stampa improvvisate degli ospedali che accolgono gli ostaggi, c'è un piccolo pulpito con i microfoni puntati. Ci salgono i dottori che per primi condividono le condizioni delle persone liberate. A sorpresa, c'è anche qualche genitore appena risorto dalle tenebre che riesce a salire su quel palco. «Siamo felici»; «riportate a casa tutti gli ostaggi». Frasi concilianti perché quel momento coincide con il ritorno alla vita.

Anche Eli Albag, padre della soldata Liri, domenica ha ringraziato il primo ministro Benjamin Netanyahu, i membri della coalizione e dell’opposizione che hanno sostenuto l’accordo di cessate il fuoco. Ma non si è fermato: «A chi si è opposto alla tregua: la gente farà i conti con voi. Io vi disprezzo», ha detto spiazzando i presenti. Un messaggio diretto al ministro delle Finanze estremista Bezalel Smotrich, e all’ex ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, che si è dimesso dal governo: entrambi vogliono la ripresa della guerra. Sono quindici mesi che i parenti di chi è stato rapito il 7 ottobre e migliaia di cittadini israeliani chiedono a Netanyahu di firmare un accordo di tregua e di fare il possibile per riportare i loro amati al di qua della Striscia. Lo hanno chiesto riunendosi ogni sabato sera in quella che è stata ribattezzata la piazza degli ostaggi, a Tel Aviv. Si sono dati appuntamento sotto casa del premier, in Azza Street, a Gerusalemme. Hanno bloccato autostrade, rilasciato interviste, sono andati in decine di parlamenti. Hanno parlato con i presidenti del mondo e con il Papa. Sono diventati il primo partito d’opposizione contro le scelte di guerra di Netanyahu che spesso è sembrato non sentire le loro richieste. Anche adesso, nel pieno del processo di liberazione dei primi 33 ostaggi, di cui 25 vivi, i familiari non si fidano e non abbassano la guardia: «Non fate saltare l’accordo», avverte Eli Albag. Ha parlato un altro padre, quello di Romi Gonen: «Ci ha sconvolto sentire le congratulazioni di Smotrich e Ben-Gvir per il ritorno di Romi, Emily e Doron. State scherzando? Prima vi opponete e poi vi congratulate? Disprezzo questo comportamento». Il padre ha condiviso qualche racconto della figlia: «Quando mi ha visto mi ha detto: “Papà sono viva”. Non facciamo domande. Le stiamo vicino quando ci chiama, ci allontaniamo se ha bisogno di spazio. Il primo giorno ha parlato quasi sempre in arabo, lingua imparata nei tunnel. È bello vedere la profonda amicizia che la lega a Emily, compagna di prigionia». Domani dovrebbero essere liberati tre ostaggi: Arbel Yehoud — il cui rilascio è stato ritardato da Hamas — l’ultima soldata Agam Berger e, probabilmente, l’americano-israeliano Keith Siegal, catturato con la moglie Aviva, uscita da Gaza nel 2023. Altri tre uomini saranno liberati sabato. Mentre si attende che Hamas dia i nomi dei vivi, i funzionari di governo chiamano le famiglie di quelle che dovrebbero essere le otto vittime. Alla Knesset, in un intervento doloroso, Danny Elgart ha fatto sapere che suo fratello Itzik è tra i morti: «Netanyahu poteva liberarlo prima. Lo ha sacrificato sull’altare del Corridoio Philadelphia»

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