A 86 anni, il regista Pupi Avati riflette sulla sua lunga e profonda relazione con Amelia, la moglie che lo ha sostenuto attraverso le sfide del successo cinematografico. Il regista esplora il ruolo delle mogli prima e dopo il successo, evidenziando il destino spesso silenzioso delle prime compagne. L'articolo celebra l'amore e la dedizione di Amelia, che ha resistito ai tempi e alle difficoltà, e si trasforma in un'attrazione sempre più forte con il passare degli anni.
Pupi Avati , all'età di 86 anni e in attesa dell'uscita del suo ultimo film, L'orto americano, il 6 marzo, riflette su un aspetto poco discusso dagli artisti di fama: la differenza tra le mogli che si scelgono prima del successo e quelle che arrivano dopo. Il regista mette in luce il destino spesso silenzioso delle prime compagne, in un ambiente, quello del cinema, che definisce «non il più raccomandabile per salvaguardare un matrimonio».
Quelle donne «che dopo averti supportato nell'affrontare la più impervia delle salite, sono destinate a scomparire, risucchiate nell'anonimato». Ma Amelia non è mai scomparsa dalla vita di Avati. È stata il pilastro su cui si è costruita la sua carriera e la loro famiglia. È stata lei ad affrontare le difficoltà materiali ed emotive di un uomo che, negli anni, si è spesso rifugiato nella propria ambizione. «Quella che, nelle tante sere di depressione, quando fosti tentato di rinunciare ai tuoi sogni, ha ereditato il ruolo di tua madre continuando a ripeterti che ce l’avresti fatta», confessa il regista. Guardando al passato, Avati ammette che, negli anni Sessanta, Amelia era la donna più affascinante di Bologna, circondata da pretendenti ben più promettenti. Eppure scelse lui, un venditore di surgelati con il sogno quasi irrealizzabile di diventare regista. Insieme hanno condiviso gioie e dolori, come la perdita di un nipote e le frustrazioni delle sue prime sconfitte professionali. Amelia, nonostante tutto, è rimasta accanto a lui, sacrificando le proprie ambizioni e accettando il peso dell’egocentrismo che il regista non nasconde di aver assecondato. Nel tempo, il loro rapporto ha attraversato momenti di grande difficoltà. «Gli anni più difficili, quelli in cui fummo più prossimi a una definitiva separazione, furono quelli in cui ero totalmente concentrato nella folle impresa di transitare dai rassicuranti bastoncini di pesce alla chimerica macchina da presa», scrive Avati. Eppure, nonostante le tensioni, il loro matrimonio è rimasto saldo. Nella consapevolezza di un amore che non solo ha resistito, ma si è trasformato. «Se a metà degli anni Sessanta provai per lei la più forte attrazione che abbia mai provato, il rinnamorarsi a 86 anni di quella ragazza ha a che fare con l’ineffabile. O con la demenza senile», aggiunge con ironia. Il regista vede nel tempo trascorso insieme una prova tangibile di quel «per sempre» spesso sognato ma raramente compreso. Nei momenti di dolore e nelle piccole vittorie, Amelia è stata una presenza costante, il filo rosso che ha dato significato a una vita intera, il simbolo di un amore che si costruisce con il tempo, la dedizione e la capacità di perdonare. «Vorrei che lei si rinnamorasse di me, come io in questo tramonto mi sto rinnamorando di lei»
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