L'Argentina, sotto il governo di Javier Milei, sta mostrando segni di una ripresa economica e una trasformazione politica. La rivalutazione del peso, la riduzione dell'inflazione e l'abbattimento dei dazi sulle importazioni sono solo alcuni degli indicatori di un nuovo corso. Milei, considerato un anarco-capitalista, sta rivoluzionando il sistema politico argentino, ispirandosi a visioni simili a quelle di Trump e Musk, ma con politiche distintamente diverse. La sua sfida è quella di trasformare l'economia argentina in una struttura competitiva e sostenibile a lungo termine.
Le Americhe del 2025 non iniziano e non finiscono con Donald Trump ed Elon Musk . Nel cono Sud del continente, è in pieno sviluppo una storia che, se manterrà le promesse, potrebbe diventare un modello per molti.
È la storia dell’Argentina e del governo Milei: può un Paese martoriato da decenni di malgoverno populista, ancora con i segni di una vecchia dittatura militare, rimettersi in piedi? Quel che è successo la settimana scorsa fa pensare di sì: Buenos Aires, conosciuta come insolvente seriale (tre default sul debito da inizio secolo), ha ripagato 4,3 miliardi di dollari agli investitori nei suoi titoli dello Stato. Era dal 2020 che non onorava un impegno di questa portata: sui mercati, la fiducia nell’Argentina sta via via tornando. Accoppiare il libertario Javier Milei al presidente entrante degli Stati Uniti è stato per mesi il cliché corrente in infinite conversazioni politiche. I modi fiammeggianti con i quali ha vinto le elezioni nel dicembre 2023, la motosega che brandisce per dire che taglierà molti dei rami dello Stato assistenzialista costruito dai governi peronisti che l’hanno preceduto, le dichiarazioni senza freni: ciò lo fa somigliare a Trump. Così come il suo fastidio per il politicamente corretto. Le sue politiche sono però in gran parte opposte: è per l’abolizione dei dazi sulle importazioni, ha eliminato il deficit del bilancio pubblico, si tiene lontano dai monopolisti argentini. Considera Trump un alleato, anti-sinistra come lui, e il futuro presidente americano gli ha dato il suo endorsement: ma, nel concreto, le sue scelte vanno in un’altra direzione. Si definisce un anarco-capitalista al governo: in questo senso, è il segno di una fase nuova nelle politiche dell’Occidente, come lo sono Trump e Musk, ma con idee diverse, per molti veri opposte. L’economia argentina, che era entrata in recessione negli ultimi mesi del 2023, è tornata positiva nel terzo trimestre del 2024, con una crescita del 3,9% rispetto ai tre mesi precedenti: secondo le previsioni degli economisti interrogati dalla banca centrale di Buenos Aires dovrebbe crescere del 4,5% quest’anno. I mercati hanno iniziato a prendere sul serio le riforme avviate, anche perché l’inflazione è in caduta: quando Milei è stato eletto, era al 211%, ora è attorno al 3% mensile, il che significa che, se manterrà la tendenza, potrebbe finire l’anno attorno al 25-26%, livello che ha sempre di gran lunga superato dalla primavera del 2018. Un anno fa, i bond argentini venivano trattati con uno spread di duemila punti rispetto ai Treasury statunitensi, ora lo spread è a 650. Nel 2024, il peso è stato la valuta che, in termini reali, più si è apprezzata al mondo: rispetto a un paniere di valute di Paesi partner commerciali si è rafforzata di oltre il 40%. Ciò penalizza le esportazioni ma è un segno del successo delle politiche del governo. Soprattutto, favorisce gli argentini, i quali hanno visto il salario medio espresso in dollari quasi raddoppiare nel cambio valutario parallelo dopo sette anni di calo pressoché continuo. Anche i prezzi di molti beni e il costo del lavoro sono però aumentati. In passato, i governi argentini hanno teso a svalutare il peso per risolvere i problemi di competitività dell’economia, un po’ come i governi italiani ai tempi della lira ma su una scala maggiore. Ora, Milei — che considera il peso carta straccia — intende chiudere quella fase e riformare l’economia per renderla competitiva dal punto di vista strutturale: abbattimento della iper-regolazione che soffoca le imprese e l’innovazione, meno tasse, migliore accesso al credito. La logica dei governi peronisti del passato, per esempio, è stata quella di avere dazi elevati sulle importazioni per difendere le produzioni nazionali. Ciò, ha detto Milei, «ha punito l’intera società con beni e servizi di peggiore qualità a prezzi più alti, per il beneficio di pochi privilegiati». Un iPhone che si vende per 800 dollari negli Stati Uniti, per dire, costa 2 mila 800 dollari in Argentina. I primi passi compiuti dal governo di Buenos Aires sono stati l’abbattimento di una serie di dazi alle importazioni e l’eliminazione della regola per la quale l’import di alcuni prodotti poteva avvenire solo con il consenso dei produttori locali degli stessi beni, una misura protezionista altamente distruttiva dell’efficienza. Lo scorso dicembre, il governo ha cessato di imporre una tassa del 7,5% su tutte le importazioni e una del 30% sugli acquisti fatti all’estero attraverso carte di credito. Ciò sta portando ai consumatori prodotti che prima erano tenuti fuori dal Paese dalle alte barriere dei dazi e Amazon ha messo l’Argentina nelle sue mappe, dalle quali era esclusa. I grandi imprenditori locali si ritrovano in un mondo nuovo, sempre meno protetti. Qualcosa di sgradito, soprattutto ai meno efficient
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