L'articolo esplora la gestione delle decisioni in contesti complessi, dove le variabili interdipendenti e le relazioni non stabili richiedono un equilibrio costante. L'autore propone di concentrarsi su domande pertinenti e di adattare la propria mentalità al cambiamento continuo del contesto.
In un recente articolo ho provato ad argomentare una questione molto calda relativa alle decisioni manageriali: in contesti complessi, caratterizzati cioè da molte variabili interdipendenti tra loro e legate da relazioni non stabili e non lineari, bisogna esercitare un continuo equilibrio tra i diversi fattori della decisione da prendere. Sono i cosiddetti trade off, ovvero le scelte tra le diverse direzioni possibili, spesso mutualmente esclusive.
Occorre quindi saper tenere conto di tutte le relazioni (tra se stessi e le parti, e il tutto, tra il tutto e le parti, le parti tra di loro, ecc). Grazie ad una ipotetica comune situazione manageriale (come comunicare al team, in cui ci sono più candidati, la promozione di uno di loro) provavo ad uscirne suggerendo di concentrarsi su quante domande è bene riuscire a farsi, prima di prendere una decisione. E introducendo un criterio minimo di classificazione tra le differenti modalità decisionali di ciascuno di noi: chi è più analitico e ponderato, e chi invece è più sintetico e sbrigativo. Provo ad aggiungere un asse al ragionamento: una volta presa una decisione, ci piacerebbe che fosse definitiva; più fatica e tempo abbiamo messo a prenderla, o più ha funzionato, e più vorremmo poterla riciclare a tempo indeterminato in problemi simili, oppure non doverla cambiare e aggiornare nel tempo. Invece no: il mutevole contesto tipico dei problemi complessi è causato dal “cambio di stato” di una, alcune o magari tutte le relazioni tra le variabili che riguardano la decisione. Nel caso dell’esempio aziendale: se chi ha ottenuto la promozione, nel frattempo, riceve l’offerta del lavoro della sua vita altrove, qualunque decisione di come comunicare al team non può non tenerne conto, a prescindere da come si concluderà l’eventuale tentativo di trattenere il collega. Come provare allora a gestire questo ulteriore asse, legato al contesto in continua evoluzione? Può anche questo essere un fattore che viviamo come ansiogeno e soverchiante: ho finalmente preso una decisione, quanto durerà? Come lo yogurt in frigo, ha una data di scadenza certa? In effetti no, ma ci sono anche qui almeno un paio di cose che possiamo fare per darci la possibilità di prendere una decisione più solida e di mantenerla aggiornata considerando l’evoluzione degli eventi. Come accennato, la prima cosa è farsi delle domande. Non è solo una questione di quantità, che pure esiste anche solo per la differenza tra Ponderati e Sbrigativi. Ma è anche una questione qualitativa, altrimenti il rischio è di passare il tempo (che è sempre poco) a farsi domande intellettualmente stimolanti, ma sterili dal punto di vista della decisione da prendere; oppure di ammazzarsi di dubbi esistenziali di nessuna utilità, che mettono ancora più in crisi i Ponderati e convincono ancora di più gli Sbrigativi che è molto meglio affidarsi all’intuizione, al guizzo o al caso (così almeno si fa in fretta). Un’altra chiave di lettura di questo aspetto è il malinteso senso che sia inutile prepararsi, perché tanto poi il contesto cambia. Tanto vale fare una cosa a caso ma velocemente, e poi vedere come va. Credo valga la pena mettersi brevemente d’accordo sul significato di “prepararsi”: se l’ambizione è quella di studiare il problema fino a che non si è identificata la soluzione ideale, per saperla applicare al meglio, allora non funzionerà in un contesto complesso. Perché è una pianificazione che va bene in un contesto complicato, in cui le relazioni tra le variabili sono stabili e lineari (es. aggiustare un macchinario rotto). Possiamo spingere un po’ in là l’idea e dirci che pianificare è avere tutte le risposte (possibile e preferibile, in contesti complicati come appunto aggiustare il macchinario rotto o risolvere un problema tecnico ricorrente); prepararsi è invece farsi tutte le domande. In un contesto complesso, essenziale. Non per avere tutte le risposte (impossibile) ma per avere meno sorprese possibili strada facendo, e quindi maggiore probabilità di trovare velocemente degli aggiustamenti. Grazie alle giuste domande, si sarà saputo leggere il contesto e immaginare in anticipo che quanto sta accadendo era effettivamente possibile; si sarà pertanto più preparati (appunto) a costruire una contromisura, pur senza sapere a monte quale può essere. La seconda suggestione che può aiutarci a mantenerci concentrati sull’evoluzione del contesto è quella di disabituare il nostro cervello ad andare a cercare, quando abbiamo un problema, quanti ne abbiamo risolti di simili per vedere se tra quelle soluzioni possiamo riutilizzarne qualcuna (“inutile inventare ogni volta la ruota”). Non è facile ma è possibile: cosa c’è nel problema che sto affrontando, di diverso da ogni altra volta? La comunicazione di questa promozione a questo team, cosa ha di differente rispetto alle altre che ho gestito in decenni di esperienza? Saper trasformare quindi la nostra esperienza da velocità nel pescare cosa già c’è nel nostro database interiore, a velocità nel pescare cosa manca o c’è di diverso. Che però è un comportamento a cui siamo molto meno abituati, non per pigrizia o cattiva volontà, ma per alcune precise nostre caratteristiche di esseri viventi. Ma questo delle nostre caratteristiche che ci portano a determinate abitudini è un altro discorso, che approfondiremo in una prossima puntata
Decision Making Complex Problems Trade-Offs Strategic Thinking Contextual Adaptation
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